Julius Evola tratta in quest’opera del problema dei comportamenti che per un tipo umano differenziato si addicono in un’epoca di dissoluzione come l’attuale. Partendo da una decisa opposizione a tutto ciò che è residuale civiltà e cultura borghese, viene cercato un senso dell’esistenza di là del punto-zero dei valori, del nichilismo, del mondo dove «Dio è morto». Il detto orientale «cavalcare la tigre» vale per il non farsi travolgere e annientare da quanto non si può controllare direttamente, mentre è possibile così evitarne gli aspetti negativi e forse anche ipotizzare una possibilità di indirizzo: esso quindi comporta l’assumere anche i processi più estremi e spesso irreversibili in corso per farli agire nel senso di una liberazione, anziché – come per la grande maggioranza dei nostri contemporanei – in quello di una distruzione spirituale. L’esame si applica ai domini più vari del costume, della cultura e dell’esistenza di oggi, fino a musica modernissima, jazz, sesso, droghe, ecc., e si conclude col problema del diritto sulla vita e sulla morte. Un aspetto particolare, nel libro, è l’indicazione del contributo che princìpi ed esperienze di antiche «dottrine interne» possono dare per portarsi oltre le limitazioni e gli errori di certi orientamenti recenti, quali il nietzschianesimo, l’esistenzialismo, il nuovo realismo, integrandone gli elementi validi in una visione generale della vita. Cavalcare la Tigre può dunque venire considerato, come scrive Stefano Zecchi nel suo saggio introduttivo, quasi uno «speciale manuale di sopravvivenza» per tutti coloro i quali, considerandosi in qualche modo ancora spiritualmente collegati al mondo della Tradizione, sono costretti però a vivere nel mondo moderno. |