Siamo soliti identificare la grande epica francese del Medioevo con la Chanson de Roland, con il suo eroismo sublime, il suo pathos, le sue calcolate e superbe simmetrie. Ma con la Chanson de Guillaume ( 1140 ca.) irrompe un mondo diverso, dominato dal basso e dal vile, dai corpi, dalla paura. Le riarse distese dell'Archamp sono il rovescio di Roncisvalle: qui Guglielmo e i suoi uomini avanzano a fatica nella calura, «coperti di fegato e di sangue», travagliati dalla fame e dalla sete, come animali braccati ed esausti. «Oh, grossa asta, come pesi sul braccio! / Con te non aiuterò Viviano all'Archamp, / che con doloroso affanno si batte! / Oh, grande scudo, come pesi al collo! / Con te non aiuterò Viviano in pericolo mortale! / Oh, buon elmo, come stordisci la testa! / Con te non aiuterò Viviano nella mischia, / che sull'erba si batte all'Archamp!» In questa atmosfera desolata, abbandonata da Dio, risplendono però Guglielmo, possente e vorace, vicino ad Eracle, a Thórr, al Bhìma del Mahàbhàrata, Guiburt, la fedele compagna, garante della sua sovranità, il nipote Gui, puer indomito, Rainouart, grossolano, impuro, comico, ma depositario, più di ogni altro, del coraggio e del valore. Attraverso so-vrasensi mitici, spinte vitalistiche e triviali, queste figure ci riportano, potentemente, alle lontane radici indoeuropee della sociatà nobiliare.
Pagine 357 - Editore: Luni - Anno 2000
Andrea Passò (Bologna 1945) insegna filologia romanza all'Università di Bologna. Ha pubblicato l'edizione critica dei Cantari d'Aspramonte in ottave (1981) e diversi saggi su Chrétien deTroyes, sui testi romanzi delle origini, sulle chansons de ge-ste e sulla lirica dei trovatori. |