La figura di Shihab al-Din Ya¡ya Suhrawardì resta per noi circonfusa dal fascino della giovinezza in quanto morì a 36 o 38 anni.
Nato nell’Iran nord-occidentale, studiò a Maragha in Azerbaigian e anche a Isfahan. Viaggiò molto in Persia, Anatolia e Siria, stabilendosi infine ad Aleppo.
Qui la sua aperta esposizione di dottrine esoteriche, e specialmente il suo ricorso a un simbolismo attinto a fonti zoroastriane, oltre alle critiche dure da lui mosse ai giuristi, determinarono una violenta reazione, che ebbe come conseguenza la sua carcerazione e infine la sua esecuzione nel 1191.
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Fu autore di una serie di opere filosofiche e gnostiche in arabo e in persianoe scrisse anche numerosi brevi racconti simbolici, soprattutto in persiano, che illustrano l’universo di simboli attraverso cui l’adepto deve muoversi per raggiungere la verità, un universo che conserva il ricordo del cosmo di Avicenna.
In questi trattati vengono discussi molti aspetti della filosofia naturale, specialmente la luce e i fenomeni luminosi.
Il fine è però quello di aprire una via nel cosmo, allo scopo di guidare colui che ricerca la verità e di liberarlo quindi dagli impacci e condizionamenti connessi con l’ambito naturale.
Il fine ultimo di tutte le forme di conoscenza è l’illuminazione e la gnosi, che Suhrawardì colloca, con termini inconfondibili, alla sommità della gerarchia della conoscenza, affermando in tal modo la natura essenziale della Rivelazione islamica. |