“Epistola della riunione della creatura al proprio essere essenziale, attraverso l’incontro con l’albero umano e con i quattro uccelli spirituali”: ecco come potrebbe tradursi il titolo completo di questo opuscolo, qui per la prima volta in versione italiana.
Titolo che dà immediata contezza dell’argomento e del piano dell’opera, ma che solleva fin dalle prime righe problemi e questioni senza fine.
La parola che si è tradotta con “riunione”, a esempio, è “ittihâd”, che nell’arabo dei mistici designa il movimento di ritorno della creatura verso la propria essenza e origine. Ma su questo occorre chiarezza, onde evitare fraintendimenti ed errori contro i quali Ibn `Arabî stesso mise costantemente in guardia.
Egli ci spiega: «L’ittihâd è il divenire una sola essenza da parte di due, quella del servo e quella del Signore; ora, non può darsi ittihâd che nell’ambito della quantità e della materia; e non si tratta che di uno stato precario e transitorio».
Ovvero: l’uomo è sì tenuto a mettersi in viaggio, ma non verso una illusoria unità di Creatore e creatura basata su di un “indiamento” in cui le essenze si confondano, bensì verso la consapevolezza dell’Unità dell’Essere (tawhîd). E in altro passo definitivamente precisa: «L’unità appartiene a Dio solo, mentre il suo servo non può realizzare che l’unione. Non potendo costui concepirsi in sé, ma solamente in relazione all’Altro, giammai sarà in grado di aspirare l’aroma dell’unità».
Insomma: l’unificazione è logicamente impossibile, e oltretutto inutile, dal momento che l’essenza di tutti gli esseri è unica, ed è precisamente quella dell’Essere Puro. Basta prenderne atto perché tutte le vane preoccupazioni cadano, e si verifichi l’immediata estinzione di ciò che è superfluo, nella permanenza di quanto è necessario e immutabile. |