PREFAZIONE
II libro offre, nel complesso, soltanto un'omogeneità dottrinale. Alcuni troveranno senza dubbio, nelle pagine che seguono, esclusivamente speculazioni dogmatistiche e petizioni di principio, e non sarà possibile far loro comprendere che la verità intrinseca e indipendente dalla dialettica; difatti, che il vero si enunci in un modo o in un altro, che si esprima con una dialettica permeata di precauzioni oratorie o con l'ausilio di affermazioni apparentemente ingenue, sarà, nella prospettiva della verità, del tutto uguale; d'altronde, denominare « petizioni di principio » enunciazioni che procedono dalla pura intellezione appalesa già un pregiudizio razionalistico, dunque qualcosa che è lontanissimo dalla conoscenza delle realtà trascendenti. Il razionalismo, invece, ammette come vero soltanto ciò che si prova, senza considerare, da una parte che la verità è indipendente dalla nostra disposizione ad ammetterla o no, e dall'altra che una prova è sempre proporzionata a un bisogno di causalità, cosicché vi sono verità che non possono essere dimostrate a tutti; a rìgor di termini, il pensiero razionalistico non ammette un elemento perché esso è vero, ma perché si può provarlo — o simulare di provarlo — la qual cosa equivale a dire che la dialettica prevale qui, in realtà se non in teoria, sulla verità. pensiero specificamente razionalistico ignora del resto volentieri che vi sono esigenze mentali dovute unicamente a una deviazione o a una ipertrofia, e che non possono quindi fornire legittimamente l'avvio per enunciazioni assiematiche: se i ciechi vedessero la luce, non chiederebbero la prova della sua esistenza.
II problema delle prove dottrinali merita che vi indugiamo alquanto: innanzi tutto, bisogna distinguere la prova razionale o logica da quella intellettuale o simbolica; la prima è fallibile secondo come le posizioni del sillogismo possono essere false, il che avverrà tanto più facilmente quanto più sarà elevato l'ordine della realtà; la seconda invece dipende da premesse che non possono non essere esatte, poiché coincidono con la natura stessa delle cose; o, per dirlo più chiaramente, poiché non sono che le realtà la cui prova sarà come un riflesso, il che le permetterà appunto di porle in evidenza. La prova spirituale o simbolica — che potremmo anche definire ontologica per distinguerla da quella semplicemente logica — dipende dunque da una conoscenza diretta che in quanto tale è esatta per definizione, e non serve a" inferire dal conosciuto l'ignoto, bensì a divenire consapevoli dell'ignoto mediante il conosciuto: il nesso tra i due non sarà, conseguentemente, affatto l'operazione razionale, ma l'intuizione intellettuale, benché il ragionamento, essendo naturale all'uomo, possa evidentemente assumere qui una funzione di appoggio temporaneo o di causa occasionale. Da ciò consegue che la prova simbolica la designiamo cosi perché la sua validità consiste nell'analogia tra il simbolo comunicante e la verità da comunicare e non nella combinazione logica delle due proposizioni — giova ad attuare una conoscenza, non aggiunta in un certo senso dall'esterno, ma contenuta potenzialmente nell'intelligenza stessa. Si può anche andare oltre e dire che la prova simbolica è identica a quanto deve essere provato, nel senso che essa « è » quella cosa a un livello inferiore dì realtà, come per esempio l'acqua dimostra la Sostanza universale perché essa « è » questa sul piano dell'esistenza corporea; è importante però non confondere la materialità del simbolo con la sua essenza ontologica; perciò la dottrina indù, quando raccomanda l'adorazione della Divinità mediante un'immagine sacramentale, interdice di pensare alla materia dell'immagine, e ancora per il medesimo motivo gli Indiani dell'America del Nord — che assumono il sole quale sostegno di adorazione — precisano che non adorano il sole, ma il « Padre » o l'« Antenato » che vi dimora invisibilmente. Tutti i fenomeni della natura sono, come attestano le Scritture sacre, prove di Dio, ed è così
per il semplice come per il sapiente — sebbene per ragioni assai differenti - - ma non necessariamente per il filosofo che può non avere né gli occhi della Fede né quelli della Conoscenza, e che, in tal caso, si dibatte invano nelle antilogie di un concettualismo
sterile.
Il mezzo d'espressione della conoscenza metafisica è una dialettica sia logica che simbolistica, a diversi gradi di accentuazione e di combinazione; è quanto distingue ad esempio il Vedantismo dal Taoismo, ma questo problema di dialettica e di espressione non può separarli o opporli nella prospettiva della verità pura, che è il loro contenuto comune. La maggior parte dei razionalisti disdegna le dottrine d'aspetto simbolico, ma fa ricadere il Vedànta o il neoplatonismo nella loro categoria di « filosofia », cioè di logica profana, pur affermando che tali speculazioni non sono pervenute alla soluzione dei «grandi problemi» dello «spirito umano »; altri razionalisti invece sconfessano queste stesse dottrine unitamente a quelle d'aspetto simbolico col pretesto che si tratta di « dogmatismi » indegni della « filosofia ». In realtà nulla e più comodo né più consolante, allorché ci si trova in una .situazione irresolubile, di pretendere, o che vi si trovino anche gli altri o che sono incapaci di trovarvisi; alcuni giungeranno perfino a far ricadere la responsabilità della loro impotenza sull'intelligenza stessa stessa, e il risultato di un siffatto atteggiamento sarà quella filosofia grossolanamente immaginativa, presuntuosamente « concreta » o « esistenziale » e incline volentieri allo psicologismo che domina la mentalità della nostra epoca.
Nel contesto, faremo notare che l'avvio di una dottrina è o definitivo, statico, dogmatico se si vuole, o una contraddizione vera e propria: per conseguenza, il princìpiamento di una dottrina che pone tutto nel divenire e non ammette alcuna verità Stabile, è o definitivamente valido, ma allora tutta la teoria delI' evoluzione indefinita della verità è falsa; oppure esso si arroga il diritto di « evolvere », dunque di cambiare, ma in tal caso è falso per definizione e non può costituire la premessa di alcunché. Analogamente, il soggettivismo assoluto rovina di fronte alla propria contraddizione iniziale: il suo princìpiamento è o oggettivo, ma allora l'evidente necessità della sua oggettività dimostra soltanto la falsità del soggettivismo, o soggettivo, ma allora non ha palesemente alcun valore oggettivo, e sì riduce a un monologo privo di senso. È sicuramente assurdo affermare che nessuna affermazione è vera; patimenti, è insensato parlare ad altri per dire che non si crede alla loro esistenza; in tutto questo, si tratta solo di negare gli aspetti essenziali dell'intelligenza e della verità, cioè la realtà oggettiva da un lato e l'evidenza intellettuale dall'altro, essendo ambedue inseparabili nell'intellezione
L'errore del razionalismo non consiste nel dimostrare quanto la ragione può perfettamente conseguire, ossia i fatti o le leggi della natura, ma di voler provare ciò di cui la ragione non può ottenere certezza alcuna con i propri mezzi; tutto quello che si può dire del razionalismo riguarda a fortiori sistemi più o meno recenti come l'« intuizionismo », la « filosofia dei valori » e l'« esistenzialismo » che, lungi dall'eccedere il piano razionale, non rappresentano, e non possono rappresentare, che la decomposizione del razionalismo, senza più risorse. Pertanto da tali concezioni dedurremo unicamente che il preconcetto di racchiudere l'intelligenza nella ragione approda praticamente alla negazione della ragione stessa; ovviamente il cosiddetto realismo che ne deriva — il quale è esclusivamente una mistica nichilistica che ostenta per lo più un comportamento psicologistico -- può considerare il reale solo secondo una prospettiva propriamente infraumana. L'uso consueto della parola « astrazioni » per indicare le realtà principiali è per altro caratteristica di siffatta mentalità, lungi dal rivelare una visione concreta delle cose, il termine costituisce troppo frequentemente un criterio, tra altri, dell'incapacità di pensare, che si erige ad arbitro di ogni possibile pensiero.
La Verità, in proporzione alla elevatezza dei suoi aspetti considerati, vuole essere « vista » e non semplicemente « pensata »; quando si tratta di verità trascendenti, l'operazione mentale può avere soltanto due funzioni, che sono piuttosto i modi positivo e negativo di una sola: contribuire all'assimilazione, attraverso l'individuo, della visione intellettuale, ed eliminare gli ostacoli mentali che si oppongono a questa visione o, in altri termini, che velano « l'Occhio del Cuore ».
INDICE
Prefazione
PARTE PRIMA:
METAFISICA E COSMOLOGIA
1. L'Occhio del Cuore
2. La Conoscenza
3. En-Nùr
4. Nirvana
5. Gli stati postumi
PARTE SECONDA:
FORME DELLO SPIRITO
6. Cristianesimo e Buddhismo
7. Il mistero del Bodhisattva
8. Osservazioni elementari sull'enigma del Koan 9. Imàn, Isiàm, Ihsàn
10. Intellettualità e civiltà
PARTE TERZA:
VITA SPIRITUALE
11. I modi dell'attuazione spirituale
12. Microcosmo e simbolo
13. L'orazione e l'integrazione degli elementi psichici
14. Trasgressione e purificazione
15. Il sacrificio
16. Il duplice scoglio
17. La meditazione
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