Jamila nasce e cresce in Francia, nella grande periferia parigina, allevata da una madre prigioniera delle tradizioni della sua terra d’origine, la Cabilia. La sua famiglia è algerina, ma lei conosce per la prima volta questa terra soltanto da adolescente, durante una felice escursione con la sua grande famiglia, e ne rimane conquistata. A casa Jamila vive la sua vita di ragazza francese, frequenta la scuola, assorbe la cultura della Francia, ne parla la lingua. In famiglia, tuttavia, la ragazza ridiventa algerina. Questo implica ben più di un cambio di lingua o di pietanze. A causa di questa intransigenza, di questa rigidità mascherata da religione, Jamila vive una vita di violenze, di umiliazioni e di divieti. Una figlia che sta diventando "pericolosamente" donna all'interno di un nucleo familiare guidato da tradizioni e credenze retrograde spinge la madre a dare un giro di vite all'educazione di Jamila, nella convinzione di farne una brava moglie musulmana. La vita di Jamila viene spezzata per sempre: la ragazza viene costretta con l'inganno a sposare un uomo di cui non è innamorata: è stata proprio la madre a "vendere" Jamila a quell'uomo, in nome di un’antica tradizione, la fatiha, con la quale la famiglia lega la donna, attraverso una sorta di contratto morale assolutamente vincolante e indissolubile, all'uomo che la chiede in sposa. La prima notte di "nozze", Jamila viene legata al letto dalla famiglia del marito e stuprata. Nonostante queste prevaricazioni, Jamila non si sottomette. Per riscattare se stessa da tante ferite, da un’infanzia fatta di percosse, Jamila intraprende coraggiosamente un cammino lungo costellato di sfide: sfuggire al controllo della madre e del "marito", abbandonare definitivamente la casa materna per cercare di ricostruirsi, da sola, una vita, trovare un lavoro, costruire una propria famiglia, cancellare gli schemi tradizionali in cui l’avevano imprigionata.
Libro di denuncia e di protesta, La fatiha mette sotto gli occhi del lettore un’usanza barbara ma tuttora esistente. Tuttavia questo non è l’unico tema che emerge da queste pagine, quanto piuttosto il ritratto di una vita dalle molte sfaccettature, drammatico e doloroso. Dallo stile coinvolgente traspare con chiarezza il grande lavoro di consapevolezza e comprensione di sé che l’autrice ha intrapreso per scrivere la sua storia. il coraggio e la fierezza della donna, al rispetto per la propria condizione, la forza di rialzarsi dopo ogni colpo, l’intraprendenza, l’amore verso una figlia, una madre, il divino, la capacità di perdonare Jamila narra vicende drammatiche, ma non cade mai nell'autocommiserazione, il suo non è un libro cupo né soffocante. Dalle sue pagine emerge un carattere fiero, passionale, indomito, coraggioso, capace di analizzare con lucidità stati d'animo e rapporti affettivi. La voce viva e intensa di questa donna, che condivide con il lettore le sue esperienze in maniera davvero toccante, si fa sentire in tutta la sua energia, mentre l’autrice racconta momenti di profondo dolore ma anche di grande gioia. È un carattere incongruente il suo, la sua vita scorre come un flusso di coscienza, seguendo il filo dei pensieri e dei ricordi. Prende per mano il lettore e non lo lascia più, facendogli compiere due viaggi: uno all'interno di antiche e soffocanti tradizioni islamiche e uno nella psiche della protagonista, donna divisa tra l'amore verso la sua grande famiglia e il desiderio di venire rispettata.
Si può affermare che sono stata venduta per settantamila franchi dell’epoca, in nome delle ‘usanze’, ma la cosa paradossale è che il Corano vieta l’uso del denaro nelle questioni matrimoniali. Nel 2001 sono stata contattata da un’emittente televisiva interessata a realizzare una trasmissione sulle donne che erano state costrette a sposarsi. Terminata la registrazione, il produttore del programma rimase talmente colpito e commosso dalla mia testimonianza che ne parlò a un editore francese, il quale mi ha supplicato di pubblicare la mia storia, sostenendo che toccava una tematica molto importante della quale si doveva parlare. Il mio rifiuto all’inizio fu categorico: non potevo, a causa della mia famiglia. Non volevo assolutamente scrivere, poiché ero rimasta nascosta durante tutti quegli anni e il peso del silenzio era irreversibile. Alla fine ho preso il coraggio a due mani e mi sono decisa, realizzando che il mio silenzio durava oramai da troppo tempo (più di trent’anni) e che dovevo assolutamente liberarmi di quel peso opprimente. Il libro l’ho scritto di getto, in soli quattro mesi. |